Il Sistema Taekwondo

ALCUNE RIFLESSIONI e APPUNTI sul SISTEMA TAEKWONDO

di Lorenzo Tricoli
1. Cosa è successo

La maggior parte degli addetti ai lavori concordano sul fatto che l’origine delle arti marziali possa essere fatta risalire al tentativo di imitare il più possibile un combattimento reale (con o senza l’uso delle armi) per poi utilizzare questo studio nell’addestramento militare. Altri hanno un accostamento, per così dire, più filosofico alla materia: nelle sue versioni più serie è certamente interessante ma esula dagli scopi di queste note.

Nella società odierna la maggior parte delle motivazioni originarie si è persa, giustamente, ma oggi noi assistiamo ad un fenomeno, direi, curioso: la necessità dello studio e della pratica delle arti militari si è andata restringendo sempre più a limitati settori della comunità (Esercito, Polizia, addetti alla sicurezza ecc.), in quanto la tecnologia militare, le leggi più evolute ed una maggiore coscienza civile le hanno rese, per così dire, inutili o per lo meno improponibili ai comuni cittadini; ciononostante le palestre in tutto il mondo sono piene di gente che si allena a tutte le ore, a tutte le età, nei più svariati modi e con le più diverse motivazioni.

Si è posto così il problema: che fare con tutte queste migliaia di persone, cosa fargli fare, in che modo e con quali garanzie a salvaguardia del loro benessere fisico.

Infatti la continua pratica dell’arte marziale porta all’acquisizione di capacità e di tecniche effettivamente pericolose per i propri partner di allenamento, di qui la difficoltà di scegliere: combattimento reale, quindi senza alcuna limitazione e/o restrizione, perfettamente realistico (magari per soddisfare così la voglia di sentirsi “forti” e “invincibili”), praticamente inaccettabile da una cultura e da una società moderna; o quello invece con certe disposizioni e ordinamenti che garantiscano la sicurezza fisica dei praticanti.


2. Alcune soluzioni possibili

Si è quindi reso necessario trovare un sistema nel quale i praticanti potessero affrontarsi senza però mettere troppo a repentaglio la loro incolumità; l’unica soluzione,inevitabilmente, era porre alcune regole e limitazioni.

Ma quali? Le arti marziali che usano le prese (lotta, judo ecc.) hanno avuto da un certo punto di vista un piccolo vantaggio, in quanto la maggior parte delle tecniche viene eseguita di solito in un arco di tempo abbastanza lungo tale da permetterne, in caso di pericolo per l’avversario, l’interruzione o per lo meno la moderazione (leve, strangolamenti, prese e atterramenti).

Per quelle che usano gli attacchi di mani e piedi il discorso è completamente diverso: come si fa a fermare una tecnica di gamba nel momento in cui mi accorgo (se me ne accorgo) che sto per colpire il mio avversario? Di qui tutta una serie di espedienti più o meno efficaci.

Comunque, dopo alcuni tentativi più o meno validi, si è arrivati alla conclusione che è inevitabile scegliere e limitare le tecniche permesse, le zone da poter colpire, il grado di contatto.


3. Le scelte fatte dal taekwondo

Staccandosi molto dalle altre arti marziali, il taekwondo ha scelto:
a) Proibizione delle “prese”, delle proiezioni a terra e dell’attaccare l’avversario caduto.
b) Proibizione dell’attacco al viso con la mano, proibizione dell’uso del gomito e del ginocchio.
c) Proibizione degli attacchi sotto il ventre, sulla nuca e sulla spina dorsale.
d) Nessuna limitazione alle tecniche di gamba
e) Uso dell’attacco di pugno solo sul tronco.
f) Contatto pieno per le tecniche permesse sulle zone del corpo permesse.
g) Uso delle protezioni per le zone del corpo che possono essere colpite.
h) Uso di altre protezioni per la sicurezza passiva dei contendenti.

Queste limitazioni, e specialmente la proibizione dell’attacco di mano al viso, hanno portato ad una inevitabile specializzazione all’uso delle gambe e a diverse ed importanti conseguenze sul “sistema” taekwondo.
Infatti, chi si avvicina alla pratica del nostro sport pone inevitabilmente, prima o poi, una domanda: perché impiegare tempo e fatica per imparare ad attaccare col piede il tronco o il viso di un avversario che mi sta vicino, quando posso più facilmente buttarmi addosso a lui, dargli un calcio sulla gamba, tentare uno strangolamento, provare ad atterrarlo o dargli un pugno al viso, ecc.? In un sistema senza nessun limite, arrivare ad effettuare, ad esempio, tecniche di gamba spettacolari (calci alti, calci circolari ed in volo, calci doppi e consecutivi ecc.) sarebbe per forza limitato, specialmente tra i praticanti non di alto livello. Una domanda simile potrebbe farla un lottatore o un judoka (che significato ha stare anche per un intero minuto afferrati alle braccia e spintonarsi?), chi si accosta al pugilato da parte sua potrebbe chiedersi perché andare in clinch invece di dare una gomitata e così via.

In un sistema senza limiti, inoltre, è difficile stabilire delle norme e dei regolamenti di gara, quindi alla fine è inevitabile mettere dei paletti; altri tipi di confini e quindi di specializzazione le hanno intraprese e portate avanti il judo e la lotta (prese, proiezioni, leve ecc.), la boxe (uso del pugno), se vogliamo anche la scherma ( uso di una spada in un’attività sportiva ); di ciò va reso loro merito, al di là delle preferenze individuali per questo o quello sport di combattimento.

Per altro teniamo presente che è impossibile, oltreché contraddittorio in termini, allenarsi e specializzarsi in tutti i campi, e nel caso delle discipline di combattimento questo lo vale in particolar modo. Sarebbe infatti oltremodo difficile avere alte prestazioni su singoli gruppi di tecniche in un sistema dove tutto è permesso, tecniche di gamba, di braccia, prese, leve, proiezioni, uso del gomito e del ginocchio ecc.; io sarò sempre tentato di usare solo il mezzo più efficace, comodo, meno rischioso per battere il mio avversario. Ma non dimentichiamo che stiamo parlando di attività sportiva, non di un addestramento alla difesa personale: per la difesa personale io imparerò ad usare non solo tutto il mio corpo, ma anche tutte le eventuali armi a disposizione e al limite, e perché no, anche gli oggetti a portata di mano, in quanto l’unico mio scopo è allenarmi a difendere la mia vita a qualunque costo e con qualsiasi mezzo (in chiave semiseria Jackie Chan ha fatto scuola con i suoi famosi film).


4. La scelta del contatto e le sue conseguenze.

In un sistema che non permette il contatto pieno e dove le tecniche sono valutate come gesti atletici fini a se stessi è impossibile verificare se un’azione sia più o meno valida o efficace.
Pensiamo ad una tecnica di atterramento nel judo o nella lotta, ad una tecnica di pugno nella boxe, ad uno schema di difesa e contrattacco nella scherma: un atleta non può far “finta” di eseguirla, la deve verificare, adattare e modificare in tanti incontri con atleti uguali o più bravi di lui. Oltretutto e soprattutto, gli avversari hanno a loro volta un altro progetto tecnico contrastante, e quindi, se non faccio quanto descritto, come si potrà affermare che quella è una tecnica valida (e valida non solo come sport ma anche come difesa personale)?


La consapevolezza di poter essere colpito mentre si cerca di colpire condiziona in maniera fondamentale l’atleta, la sua capacità e rapidità di decisione, la sua determinazione, la scelta del progetto tecnico, il modo, il tempo, la velocità e la forza con cui proverà ad eseguire la tecnica scelta: come sarebbe differente se io fossi sicuro che non verrò mai toccato dal mio avversario ( se non per un suo errore ) ! la stessa differenza che c’è tra un videogioco di football e una vera partita: dover correre per 50 metri, dribblare due o tre giocatori avversari, controllare cosa stanno facendo i propri compagni e dove si trovano, ed infine arrivare in piena corsa verso la porta avversaria, di fronte ad un difensore robusto che ci viene incontro determinato e minaccioso.

La scelta adottata dal taekwondo è utile inoltre per gli aspetti non propriamente tecnici ma anche educativi. La pratica del combattimento comporta: autostima, rispetto per l’avversario, massima determinazione ma rispetto del regolamento, vincere senza montarsi la testa, perdere senza scoraggiarsi o abbandonare la spinta al miglioramento, umiltà e obiettività nell’autoanalisi ecc.

Agli inizi il taekwondo, come anche il karate, il kung fu ed altre discipline, usava il sistema del “controllo” dei colpi: si potevano eseguire quasi tutte le tecniche e indirizzarle verso la maggior parte delle zone del corpo, bastava fermare i colpi a pochi centimetri dall’avversario.

Poi negli anni ‘70, con una scelta difficile ma coraggiosa e vincente, il Taekwondo ha abbandonato quel metodo per l’attuale sistema in uso.
I sistemi basati sul cosiddetto “controllo” dei colpi saranno forse rassicuranti, ma il “controllo” sulle tecniche, tra l’altro, sono in pochi ad eseguirlo correttamente e comunque non ha impedito un numero altissimo di traumi e incidenti, molto superiore a quello riscontrabile nelle gare con il sistema del contatto.

La scelta del “controllo” risulta alla fine essere un trucco tacitamente accettato da entrambi i contendenti per coprire carenze nel sistema generale e, specialmente, nelle tecniche; teniamo presente quanto detto prima sulla consapevolezza di poter essere colpiti: se so di non poter essere colpito, come mi risulta facile eseguire chissà quali prodezze e credermi fortissimo! Le tecniche, inoltre, tendono a rimanere immutate per l’eternità, immerse in quell’ambiente asettico e teorico del “controllo”.
Nel Taekwondo, quindi, l’uso del contatto e della corazza ha sgombrato il campo da vecchie e nuove ipocrisie: la stessa tecnica, quando devo toccare, va ripensata, verificata, ricalibrata ed eseguita con diverse caratteristiche (dinamiche, cinetiche ecc).

Tutti quelli che hanno sperimentato il passaggio da un sistema senza contatto al sistema usato nel taekwondo hanno scoperto con stupore e rammarico che gran parte di quello che credevano e “si credevano” era un bluff.

Costoro hanno ricevuto all’inizio una salutare doccia fredda, ma nel volgere di pochi mesi hanno visto che ne valeva la pena. Il sistema del contatto pieno, oltre ad introdurre componenti realistiche nell’allenamento, svela e mette alla prova molti aspetti del carattere del praticante, diminuendo la possibilità di bluffare e sviluppando quindi un progetto altamente educativo. Il ragazzo che durante l’allenamento in palestra si vede toccata la corazza più volte, non può accampare scuse o giustificazioni di sorta; le sue innumerevoli e diverse reazioni alle difficoltà saranno analizzate dal Maestro per migliorarlo, per renderlo più consapevole dei suoi progressi e dei suoi ritardi e di come li sta vivendo. Tutte queste dinamiche comportamentali sarebbero molto meno visibili senza il confronto e lo scontro tra due progetti tecnici antagonisti e con la tranquilla garanzia del non contatto.

L’esecuzione solo tecnica del gesto va benissimo per le gare di forme, un’attività bellissima che fa parte a pieno titolo della grande enciclopedia del Taekwondo e che andrà incontro ad una continua espansione e evoluzione, ma che è del tutto differente, ha un suo bagaglio di dinamiche emotive e di preparazione atletico/psicologica completamente diversa. Io posso essere un campione del mondo di forme e perdere in una gara di combattimento con una cintura rossa smaliziata ed esperta, e viceversa. Dall’altro canto, un punto perso in combattimento lo posso recuperare, un errore o una caduta nella forma mi condanna definitivamente.


La sperimentazione in gara delle tecniche e il continuo scontro/confronto pratico con gli altri funziona da laboratorio per lo studio di nuove tecniche. Se noi paragoniamo le gare di taekwondo attuali con quelle degli anni ’70, vediamo che alcune tecniche non si usano più o sono state seriamente riviste e modificate, altre sono state introdotte di recente.

L’uso della corazza elettronica porterà sicuramente ad una ulteriore rivisitazione delle tecniche ed io immagino e spero in un uso molto più frequente degli attacchi di mano. Attualmente si è consolidato un circolo vizioso: gli atleti eseguono pochissimi attacchi di mano, i Giudici li vedono effettuati così raramente che sono restii ad assegnare il punto, gli atleti quindi preferiscono fare per lo più le tecniche di gamba o, peggio, fare ostruzione all’attività dell’avversario. Ciò ha portato ad una brutta gestione del combattimento di taekwondo a distanza ravvicinata, ingiustificabile per gli esperti di sport di combattimento, incomprensibile per i comuni spettatori, noiosa e improponibile per la diretta tv.

La “decisione oggettiva” del corpetto elettronico di assegnare il punto invoglierà quindi ad un maggior uso delle tecniche di mano, e questo comporterà a sua volta una modifica delle tecniche di gamba a corta distanza, forse ad una loro diminuzione e/o ad una ulteriore evoluzione: ancora più imprevedibili, veloci …..chissà.

Assisteremo perciò nei prossimi anni ad una ulteriore evoluzione delle tecniche, alcune diverranno obsolete, altre prenderanno piede, altre entreranno ed usciranno in breve tempo dal panorama tecnico.

A prescindere da cosa accadrà, il motore principale di questa continua evoluzione può essere fatto risalire, come si diceva prima, a due fattori:

1. la scelta del contatto pieno, garantendo nel contempo ed il più possibile l’incolumità dei praticanti con l’uso delle protezioni e con le necessarie limitazioni alle tecniche utilizzabili ed alle zone da poter colpire;
2. L’evoluzione del regolamento di gara e la continua sperimentazione delle tecniche, ottenuta tramite l’allargamento dell’attività agonistica al maggior numero di persone possibile, con le dovute e necessarie modifiche, differenziazioni ed aggiustamenti dei regolamenti da adattare alle varie fasce di età.

Questo ultimo aspetto, che possiamo chiamare “competizionalizzazione” del taekwondo, è servito e servirà da verifica tecnica, alcuni gesti saranno declassati, altri promossi, alcune tecniche nuove saranno studiate e sperimentate su larga scala tramite le migliaia di competizioni, entrando a far parte di tutto il “sistema Taekwondo”, arricchendolo e sofisticandolo.

Gli atleti che combattono, quindi, sono in ultima analisi gli eterni pionieri ed esploratori di un pianeta tecnico in continua evoluzione, ed i frutti dei loro sforzi di migliorarsi e vincere, con i limiti posti dalle regole, diverranno così patrimonio di tutti, anche di chi non fa attività agonistica.

Lorenzo Tricoli

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